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i Bianconi

    

Non mi è facile descrivere in poche righe le sensazioni e i molteplici episodi di una avventura naturalistica, fotografica ed anche umana, che si è sviluppata ed è evoluta insieme a me, accompagnando la mia vita negli ultimi trent’anni, e che per l’intensità delle sensazioni e la durata nel tempo meriterebbe un libro a sé.

I protagonisti di questa storia sono i Bianconi (circeatus gallicus), dei grandi uccelli rapaci specializzati nella cattura dei serpenti di cui si nutrono quasi esclusivamente, che migrano da noi in primavera per nidificare.

Tutto iniziò in una uggiosa giornata di febbraio di fine anni settanta, lungo una strada nei monti della Tolfa nel Lazio, in compagnia del mio amico Paul Harris, ornitologo e fotografo per passione come me. Due ventenni pieni di entusiasmi ed una vita ancora tutta da spendere e scoprire…

I Bianconi ci apparvero all’improvviso dopo una curva della strada, volteggiando maestosi e descrivendo ampi cerchi nel cielo cupo, con il piumaggio bianco che risaltava contro le nuvole gonfie di pioggia.

Fummo folgorati entrambi da quell’incontro e dopo un breve scompiglio (erano i nostri primi Bianconi), fummo subito determinati a voler cercare il sito riproduttivo di quella coppia.

Ci vollero due stagioni di appostamenti ed interminabili osservazioni per poter trovare finalmente, in cima ad un monte coperto da una vegetazione impenetrabile, il nido di queste piccole aquile, la cui femmina ha una apertura alare di quasi due metri!

La piattaforma di fronde secche era stata costruita sull’apice di un grande Leccio, e rammento ancora il brivido dietro la schiena quando, dopo essermi arrampicato a braccia in cima all’albero, mi sono potuto finalmente affacciare nel nido trovandomi faccia a faccia con un pulcino dal piumino candido che mi fissava con i suoi grandi occhi gialli e penetranti.

Era nato un amore! Da allora ogni primavera abbiamo cercato e trovato il nido dei Bianconi, ogni anno per trent'anni, fotografando quando è stato possibile o altrimenti osservando lo spettacolare ciclo della vita che insieme alle nostre si perpetrava nel tempo.

Stare immersi per giorni da soli nell’ambiente selvaggio, confondendoci, integrandoci, come animali tra gli animali. Acuendo i sensi, per vedere senza essere visti… come i predatori;  mimetizzandoci immobili tra la vegetazione per ore, come le prede, nel silenzio rotto solo dallo stormire del vento tra i rami… noi stessi rami e vento, un tutt’uno.

Queste esperienze negli anni ci hanno forgiato, nel corpo e nello spirito. Le lunghe ore in solitudine ci hanno insegnato a saper attendere con pazienza, a regolare il tempo con il ciclo solare, a sopportare i disagi, i crampi, gli insetti, la sete; ma soprattutto ad imparare a stare bene con noi stessi.

In tutto questo tempo su quel monte si sono avvicendate diverse generazioni di Bianconi; e tra episodi singolari ed insoliti, imprevisti e colpi di scena, i ricordi si accumulano e si diluiscono nello scorrere lento del tempo ma loro, i Bianconi, e noi, Paul e io, siamo ancora lì su quel monte, ogni primavera, a rinnovare un incontro che ormai è tradizione, a percorre ancora insieme un sentiero iniziato trenta anni fa.

E questa, insieme ai tanti ricordi, è sicuramente la cosa più bella