Cosa mi spinge ancora, dopo tanti anni, ad alzarmi prima dell’alba e a vagare per boschi, campagne e paludi nelle gelide mattine invernali col freddo che blocca le dita ed il fiato che si condensa nell’oculare della fotocamera. In estate con il sole a picco e il caldo soffocante, a rimanere immobile in nascondigli di fortuna con gli insetti che ti tormentano implacabili, nella speranza di riuscire a riprendere uno schivo uccello rapace al nido, per realizzare un’immagine già costruita nella mente.
Non vivo con la fotografia - ho scelto che non fosse così - e forse per questa “non dipendenza” provo ancora l’emozione di tanti anni fa, che mi spinge oggi, come allora, a sopportare disagi e fatiche. In cambio di cosa? Spesso me lo sono chiesto, senza trovare una risposta esaustiva.
Credo che le mie motivazioni nascono da dentro, dalla necessità di racchiudere un brivido interiore, un fremito, un’emozione in un fotogramma.
Di cercare nella realtà circostante uno spunto visivo che appaghi me stesso e la mia voglia di esprimermi, che mi induca ancora a continuare, senza fine, questa ricerca.
La fotografia è lo strumento ideale a sublimare per sempre un istante, di luminosità e cromatismi, in cui materia e forma partecipano, indissolubili, al compimento del miracolo della luce.
Molte volte mi sono domandato quale sia stata l’immagine più bella… e la risposta continua ed essere sempre la stessa: quella che devo ancora realizzare.
E il viaggio continua...